Viaggio, dunque mangio
Il nostro Paese attira sempre più visitatori gourmet. Così dovrà tornare ad essere dopo il Covid

Lo conferma una recente ricerca: il 72 per cento delle persone che si spostano per diletto vuole vivere esperienze gastronomiche che siano “memorabili”. Addirittura, il 53% dei viaggiatori nel mondo si dichiara “turista gastronomico”.
È quanto era emerso a febbraio di quest’anno dall’interessante Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano a cura di Roberta Garibaldi, docente di Tourism Management all’Università di Bergamo, che con altri esperti internazionali ha analizzato sia l’offerta del “sistema Italia” sia le motivazioni di chi ama visitare nuovi Paesi. Il gruppo di lavoro ha presentato sul tema ben 735 pagine di dati e analisi, prima alla Bit di Milano poi al Festival del giornalismo alimentare svoltosi recentemente a Torino.
Punti di forza dell’Italia
L’indagine ha individuato le potenziali fonti di attrazione del Bel Paese per i turisti: “produzioni di eccellenza, ristoranti, agriturismi, musei del gusto, aziende vitivinicole, birrifici, aziende olearie, Strade del Vino e dei Sapori”. Un patrimonio gourmand che attira sempre più visitatori gourmet. Già nel 1854 ne era convinto Giovanni Vialardi, cuoco di Casa Savoia a Torino, che così scriveva nella prefazione del suo Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, descrivendo l’Italia: “Non vi ha altra regione nel mondo che per avere la supremazia nell’arte della cucina sia meglio favorita dal cielo: qui sono carni eccellenti, ottimi pollami, selvaggina saporita, pesci squisitissimi tanto d’acqua salata che d’acqua dolce, legumi gustosi, frutti bellissimi, olii finissimi, latticini e formaggi di qualità eccellentissima, le quali cose sono il fondamento della buona, della sana cucina”.
Quali sono le principali motivazioni di viaggio in Italia? Secondo il rapporto, un viaggiatore su due indica la presenza di produzioni agroalimentari e vitivinicole di qualità. Con ben 825 prodotti a Indicazione Geografica (Ig, dati dicembre 2019), il nostro Paese ne mantiene il primato numerico su base europea, seguito dalla Francia (687 specialità) e dalla Spagna (334). Inoltre esiste un altro tipo di segnalazioni, forse non ancora conosciute dai “gastronomadi”: i prodotti agroalimentari tradizionali, stabiliti dalle Regioni, sono ben 5.155 (dati di marzo 2019). Su scala regionale, al primo posto si piazza la Campania, con 531 Pat, seguita dalla Toscana (461) e dal Lazio (428). Tra “macaron”, cappelli, forchette e tempietti dell’Accademia Italiana della Cucina, sono davvero tanti i ristoranti di qualità. E anche la quantità non manca: le imprese di ristorazione attive in Italia sono 283 mila, cifra che ci dà anche in questa categoria il primato europeo. Caso unico sono poi gli agriturismi (quanti siano poi quelli “veri” e quanti quelli che si spacciano per tali non è però svelato dall’indagine), perché in Spagna, Francia, Germania e Regno Unito non vi sono realtà simili in grado “di offrire la pluralità di servizi, fatta eccezione per l’alloggio, che contraddistinguono le 23 mila aziende agrituristiche autorizzate ad attività di ristorazione, alloggio, degustazione”.
Turismo e cultura
C’è poi il capitolo culturale. A valorizzare le produzioni tipiche del territorio l’Italia conta 117 musei del gusto, contro i 111 di Francia e i 95 di Spagna. Sono in genere piccole realtà espositive ̶ la rete forse più attrezzata è quella dell’Emilia Romagna ̶ ed è interessante notare che il 68% dei turisti italiani vorrebbe visitare un museo nazionale dell’enogastronomia. Inoltre l’Italia, come la Francia, si piazza sul podio europeo con ben cinque beni materiali e immateriali enogastronomici, inseriti nell’elenco dei patrimoni dell’umanità Unesco: i paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato; la coltivazione della vite Zibibbo ad alberello di Pantelleria; l’arte dei pizzaioli napoletani; le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene e la Dieta Mediterranea (transnazionale). Inoltre Alba, Parma e Bergamo hanno ottenuto il titolo di “Città Creative Unesco per la Gastronomia”. A tutto ciò si aggiungono le cantine, i birrifici artigianali, le aziende olearie e le strade del vino e dei sapori, per un totale di 27,5 miliardi di euro (dati Banca d’Italia 2018) spesi dai turisti stranieri durante le loro vacanze in Italia.
Facciamo abbastanza per sostenere e incrementare questi flussi turistici? L’Italia è preparata? Su quali risorse deve puntare? Roberta Garibaldi risponde citando i dati della ricerca e le preferenze emerse dalle analisi sul web, con qualche constatazione forse sorprendente. «I food truck del cibo di strada ̶ spiega la docente ̶ sono tra le esperienze più vissute e ricercate su internet. Naturalmente seguono interessi più tradizionali, come ristoranti, caffè storici, le antiche dimore sede di aziende di produzione agroalimentare, le visite ai produttori extra vino e, infine, i corsi di cucina. La pizza rimane la specialità trainante per il nostro Paese. «Ma sono convinta che, dopo il riconoscimento Unesco al lavoro degli artigiani napoletani, dovrebbe diventare un asset su cui puntare in modo più forte». Perché non realizzare un museo dedicato oppure pensare a esperienze diversificate? «Le cantine interessano sempre, ma l’offerta deve evolvere verso una segmentazione e un posizionamento più distintivo». Da questo punto di vista, per esempio, l’esperienza che si può vivere visitando le aziende vitivinicole francesi, in Borgogna, nel Bordolese o nello Champagne, sono molto più interessanti e attrattive di quanto, spesso, riescono a offrire i nostri produttori ai loro visitatori enofili.
In cosa migliorare
E ci sono altri aspetti che si potrebbero sicuramente migliorare, scrivono i ricercatori nel rapporto: “Analizzando il contesto europeo, i competitor diretti presentano un valore aggiunto nella valorizzazione, attraverso azioni organiche di sviluppo e promozione intraprese a livello nazionale. In Italia, per esempio, si riscontrano lacune di informazioni sia nel sito ufficiale sia nei portali regionali. Una conferma di ciò viene dall’analisi diretta condotta sui Tour Operator stranieri, che giudicano buona o eccellente la qualità dell’offerta e delle esperienze a tema enogastronomico, mentre minore è la facilità di reperimento delle informazioni e di prenotazione delle medesime”.
Sviluppare una corretta informazione per reperire nel web notizie utili a organizzare un viaggio
La ricerca dovrebbe dunque diventare un buon punto di partenza per azioni che dovrebbero davvero migliorare la nostra immagine e l’offerta di specialità enogastronomiche, per non fermarci all’ovvio e al folkloristico. Conforta sapere che i più attivi tra i turisti enogastronomici sono i “millennials”, i nati nel nuovo secolo: sono loro i “super foodie” ai quali ristoratori, produttori vinicoli, artigiani del cibo dovrebbero rivolgersi. Tuttavia, non tutti sanno ancora comunicare con i giovani.
(ph: Shutterstock)
