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LA NOSTRA INTERVISTA

Il disturbo nel piatto: quando il rapporto con il cibo diventa una patologia

Pierandrea Salvo (Centro per i disturbi alimentari Ulss 4): «In Veneto una rete diffusa. Pazienti sempre più giovani»

19 Ottobre 2020

I disturbi alimentari rappresentano una patologia molto diffusa, in modo particolare tra le adolescenti. In Italia l’anoressia è la terza più comune “malattia cronica” fra i giovani. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira intorno al 6%, al 2% per bulimia nervosa e sempre intorno al 2% per gli altri disturbi alimentari.

 

Il Veneto per far fronte a questa emergenza ha costituito già dal 1999 una rete capillare di presa in carico con l’attivazione in ogni provincia di un Centro di Riferimento provinciale per i DCA e l’attivazione in ogni Ulss di un ambulatorio multiprofessionale per la diagnosi e il trattamento in collegamento con i centri per i Disturbi del Comportamento Alimentare del territorio, come ci spiega il dott. Pierandrea Salvo, responsabile del Centro per i disturbi alimentari dell’Ulss4, uno dei più “vecchi” del Veneto.

 

Dott. Salvo, sono disturbi diffusi in che fascia della popolazione?

«Sono diffusi in termini sempre più precoci. Non aumenta il numero complessivo, ma si anticipa l’esordio. Se prima erano i 17 anni circa, oggi sono i 14, soprattutto femmine. E quello che è cambiato è la manifestazione clinica che è più tumultuosa e più critica dell’esordio tardivo».

 

Come ci si accorge che quello che si crede una semplice abitudine di fatto è un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare?

«I disturbi della nutrizione sono molti. Man mano che si va avanti si riescono ad individuare dei disturbi nuovi: anoressia, bulimia, tanti disturbi evitanti dell’alimentazione, disturbi di alimentazione incontrollata. Hanno caratteristiche diverse e anche la manifestazione è diversa da persona a persona».

 

Come è organizzata la rete di cura della Regione?

«La rete di cura ha più livelli, in Regione Veneto c’è almeno un ambulatorio in ogni Azienda. Poi 5 centri di riferimento che fanno diagnostica e terapia di secondo livello: Treviso, Vicenza, Verona, Padova e il nostro. I due centri universitari fanno anche ricerca e didattica. La rete di trattamenti è fatta di strutture diurne come Treviso, Vicenza e Padova e di strutture anche residenziali come Portogruaro che accoglie adulti e minori, e anche Treviso ha posti letto. Poi ci sono le case di cura per la riabilitazione più o meno dedicate. La nostra azienda ha diviso tra adulti ed età evolutiva. In più la Regione ha individuato posti letto pediatrici in alcune delle sedi dei centri di riferimento. I centri sono tutti in rete tra di loro, per cui gli utenti circolano in base alla gravità a prescindere dalle Usl di provenienza. Non ci sono barriere. C’è una rete ampia che ha permesso negli anni una specializzazione delle équipe molto forte, tutti questi centri hanno una équipe dedicata. Aspetto che ci permette di avere una esperienza molto rilevante. In qualche modo la Regione Veneto ha completato il percorso della rete di trattamento che era uno degli obiettivi che negli anni di era data».

 

dott. Pierandrea Salvo

 

Cosa deve fare un genitore quando si accorge che il figlio soffre di un disturbo alimentare?

«Andare dal medico di base per avere un’impegnativa per una visita specialistica e ovunque troverà un centro che si prenderà cura del giovane».

 

Quando un genitore deve preoccuparsi?

«Quando percepisce una modificazione della condotta alimentare che si accompagna a condizioni psicologiche emotive, al di là della perdita del peso. Anoressia è tipicamente la paura di ingrassare, ma c’è anche chi ha paura che il cibo faccia male, o paura di soffocare. È la difficoltà ad approcciarsi all’atto di nutrirsi che deve destare attenzione. Ci si rivolge agli specialisti, si chiede una valutazione, percorso che viene fatto in maniera molto accurata. In Veneto usiamo linee guida che vengono validate dal tavolo tecnico regionale per cui sono linee omogenee: da Belluno a Rovigo le strutture pubbliche garantiscono lo stesso trattamento».

 

Se ne esce?

«Sì, se ne esce. Noi ormai abbiamo migliaia di utenti in cura e centinaia nelle strutture riabilitative e guariscono. Come tutte le malattie c’è una variabile individuale. Più precoci sono le cure e più sono condotte sulle evidenze di efficacia, più funzionano. Si vede subito la differenza tra le ragazzine che arrivano che hanno fatto trattamenti causali e quelle invece che si sono sottoposte ad una presa in carico codificata».

 

Arrivano ancora ragazzine che pesano 30 chili?

«Anche peggio. Ormai arrivano situazioni molto compromesse anche psichicamente. Da un lato grande magrezza e compromissione e dall’altra comorbilità psichiatrica: ai centri di riferimento arrivano sia il disturbo alimentare sia quello mentale».

 

È ancora valida la teoria che colpevolizza i media e l’immagine che propongono della donna?

«Le ragazzine oggi hanno modelli sociali molto diversi. Passano giornate intere sui social minimalisti, non guardano più le modelle. Cambia il contenente ma non cambia il contenuto e neppure la patologia psichiatrica di base. Corpi magri e assai poco vestiti».

 

Anche gli adulti soffrono di disturbi alimentari?

«A Portogruaro abbiamo una struttura con soli adulti, vediamo un campionario clinico molto diverso da quello delle adolescenti. Ci sono tutti i disturbi accumulati in un percorso molto lungo durata con le complicanze annesse, osteoporosi, immunodepressione.  Guariscono anche i grandi».

(ph: Shutterstock)

R V

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